Nacque a Termini Imerese il primo gennaio 1896, mori a Palermo il 14/04/1977.
Dirigente del Partito Socialista Unitario (PSU) aderì al Comitato di Liberazione Nazionale(CLN). Nel 1921, il congresso socialista decise la scissione tra le varie correnti e nel 1924 Girolamo Li Causi si iscrisse al PCI. Fù direttore dell’Unità nel 1926 fino al 1928 quando fu arrestato e condannato a 21 anni di carcere. Nel 1943 con la caduta del governo fascista di Mussolini i detenuti politici furono scarcerati, ad eccezione dei comunisti ritenuti pericolosi per la sicurezza nazionale. Malgrado fosse iscritto al PCI il Li Causi, che risultava iscritto al CLN grazie al CLNAI (Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia), fu liberato. Stimato nel PCI divenne segretario regionale della Sicilia con l’incarico di organizzare nel territorio il partito. Nel 1946 fu eletto deputato PCI nell’Assemblea Costituente e nel 1948 deputato della Repubblica. Per la sua militanza politica e la decisa denuncia della collusione tra politica DC e mafia il 16 settembre 1944 subì un attentato a Villalba in occasione di un comizio. Rimase ferito con altre 13 persone. Accusò sempre dell’attentato Michele Pantaleone e Don Calogero Vizzini boss di Villalba. Mise in luce la responsabilità dei mandanti istituzionali della “strage di Portella delle ginestre” e la collusione tra ufficiali dei Carabinieri e la banda Giuliano esecutrice di quell’attentato e dei successivi assalti a sedi di sindacati comunisti e socialisti e degli omicidi di tanti avversari politici della Dc.
Fornì (inutilmente) al Tribunale di Viterbo, impegnato nel processo ai numerosi imputati della banda Giuliano, documenti e prove dei rapporti intercorsi tra il Salvatore Giuliano ed ed il suo luogotenente Gaspare Pisciotta con il Ministro On. Mario Scelba e numerosi deputati e senatori DC*. Produsse documenti autografi del bandito Salvatore Giuliano che asseriva di aver agito come ordinatogli da onorevoli della Repubblica per motivi politici**. Produsse anche un documento rilasciato a Gaspare Pisciotta*** con apposta la foto tessera del Pisciotta, col timbro del Ministero dell’interno, che lo accreditava quale rappresentante del governo “…per pacificare e trattare con i componenti di bande armate disseminate nelle contrade…”. Il documento riporta in calce la firma del ministro. Tali documenti sono depositati in archivio tra gli atti del processo di Viterbo. Malgrado tutto ciò risulta che nessuna indagine fu intrapresa dalle autorità competenti. Gli ispiratori e mandanti rimasero indenni. Quando Gaspare Pisciotta, alla lettura della sentenza che escludeva mafia e moventi politici preannunciò che in appello avrebbe vuotato il sacco, si pensò che la verità occultata sarebbe emersa. Ciò fu impedito, prima che fosse celebrato l’appello, il Gaspare Pisciotta morì avvelenato nel carcere palermitano dell’Ucciardone e disgrazie mortali, suicidi ed omicidi falcidiarono altre persone che erano in odore di aver avuto confidenze o saputo qualche cosa in riferimento a quanto il Pisciotta non poteva più raccontare.
L’On. Girolamo Li Causi fu un profondo conoscitore del fenomeno mafioso. Condusse la battaglia per l’istituzione della Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso che si trascinò per 16 anni dal 1947 fino al 1963 quando finalmente ne ottenne l’istituzione divenendone Vice Presidente. Ciò malgrado nulla cambiò per lunghi anni: il potere negò l’esistenza delle mafie che ritenne associazioni di delinquenti comuni o di banditi. Le istanze e le denunce del Li Cauli e di numerosi altri parlamentari di altri partiti furono, dai colleghi della maggioranza e dalla magistratura, ignorate o giudicate frutto di fantasiose ipotesi.
Uomo integerrimo ed impavido, amante della verità, combatte onestamente per gli ideali sociali del partito in cui militava. Ebbe il merito di aver sensibilizzato l’opinione pubblica circa l’esistenza delle mafie e la collusione con rappresentanti delle Istituzioni. Malgrado tutto ciò, essendo stato in quegli anni politico di punta dell’opposizione, oggi c’è chi suppone che alcune mafie del fronte popolare lo abbiano sostenuto, mafie certamente perdenti ma sempre mafie.