Figlio del Campiere Accursio Cassio Ferro e di Santa Ippolita, nacque a Bisacquino (Palermo), il 22gennaio 1862. Non ne  è mai stata accertata la  data di morte.  Risulta soltanto che di lui  si perse ogni traccia certa dopo la tregua di Cassibile e lo sbarco degli alleati in Sicilia. In merito alla sua morte nessuna data certa.   La tesi ufficiale,ricostruita deduttivamente stante la distruzione dei documenti a seguito della guerra ci dice  che sarebbe stato  trasferito dal carcere di Palermo al manicomio di Aversa dove sarebbe deceduto a seguito di un bombardamento alleato. A Palermo  riscontrammo due ipotesi. L’una che sgomberato il carcere Palermitano fosse stato dimenticato in cella dove sarebbe morto  di stenti. L’altra  che liberato dal carcere si  sia  ricostruito una identità che gli consentì di vivere libero il resto dei suoi anni. Michele Pantaleone storico e profondo conoscitore della mafia siciliana  lo ha definito Capo dei capi. Il capitano della Polizia di New York Joe Petrosino lo riteneva un temibile criminale complice dell’omicidio del barile* e capo assoluto della banda della Mano Nera. Di lui si sa che dal 1892 fino al 1924 diresse la lega degli operai agricoli di Busacchino, aderenti ai fasci contadini, un movimento democratico socialista che reclamava il diritto di occupazione delle terre incolte dei feudi e dei latifondi. Dichiarato  fuorilegge il movimento, fu sciolto dal governo Crispi, ed i suoi dirigenti e rappresentanti perseguitati. Don Cassio raggiunse Tunisi e per due anni ampliò la propria attività internazionale. Ritornò in Italia nel 1926 si procurò amicizie e protezione presso le mafie a difesa di  latifondisti e  feudatari. Si diceva che provvedesse a trasportare in Tunisia animali rubati in Sicilia.  Sposò la maestra di Bisacquino Brigida Giaccone,donna benestante e stimata. Nel 1928 risultava proprietario di una flottiglia di pescherecci  e titolare di molti commerci  con città nord africane. Sempre in quell’anno fu accusato del sequestro della baronessina diciannovenne Clorinda Peritelli di Valpetrosa. Secondo alcune fonti dell’epoca si sarebbe trattato di un sequestro lampo, secondo altre di un “ratto d’amore” compiuto per un giovane studente follemente innamorato di Lei che sognava di poterle parlare. Comunque  con o senza riscatto la giovane fu liberata la mattina successiva. Costei riconobbe coloro che erano stati autori del rapimento e cioè il Cassio Ferro, ed i suoi collaboratori, tutti arrestati e processati. Fu accolta la tesi del “ratto d’amore” e la mite sentenza condonata. Nessuno parlò del riscatto.    Questo dimostrò il potere di Don Vito  anche presso i latifondisti blasonati.
Nel 1901 si trasferì a New York dove con gli affiliati siciliani gestiva il “business del falso”. Tale florida e lucrosa attività consisteva nella perfetta riproduzione di moneta , di documenti di riconoscimento, di certificati di naturalizzazione, di passaporti. Si calcolò che collaborassero  a questa attività circa 1500 persone inserite nell’amministrazione e burocrazia americana. Nel 1904, a seguito delle indagini del Capitano Petrosino rientrò a Palermo. Incriminato per l’omicidio  Petrosino con altre 13 coimputati  fù assolto. Per quasi vent’anni  dominò la mafia della Sicilia occidentale. Nel 1923 il vice prefetto di Corleone segnalò al Ministero dell’interno il Vito Cassio Ferro come criminale  capace di ogni delitto chiedendo a suo carico il provvedimento dell’ammonimento.  Nel maggio 1926 il prefetto della provincia di Palermo Primo Cesare Mori,nel corso di un rastrellamento tra Corleone e Bisacquino arrestò Don Vito insieme ad altre 150 persone. Fu accusato e processato per concorso in 20 omicidi per otto tentati omicidi, per 5 rapine,37 estorsioni ed altri 53 altri reati.  Durante tutto il processo il Ferro non aprì bocca.  Il 27/06/1930 dopo la lettura della sentenza, rompendo l’ostinato silenzio,  dichiarò alla Corte: “ Non siete riusciti a condannarmi per i delitti che  ho commesso,  ma siete riusciti a condannarmi per l’unico  di cui sono innocente.”
I proletari siciliani di quei tempi ritenevano Vito Cassio Ferro capo dell’Onorata Società siciliana, uomo giusto avversario dell’ingiustizia e difensore degli oppressi e per anni interpretarono la sua dichiarazione fatta per confermare che pur essendo completamente  sbagliata l’accettava perché i conti tornavano. Non effettuò l’ appello e da allora, come sopra detto, di lui non se ne seppe più nulla.