Nacque a Villalba il 24 luglio 1877 ed ivi morì il 12 luglio 1954. Il padre Beniamino che era un umile bracciante e la madre Salvatrice che era nipote del Vescovo di Muro Lucano mons. Giuseppe Scarlata e dell’Arciprete di Villalba Don Angelo Scarlata, per evitare che i numerosi figli fossero destinati a vivere nella miseria, si rivolsero al clero affinché i loro figlioli fossero istruiti ed indirizzati alla vita ecclesiastica. I suoi fratelli  Giovanni e Salvatore, divenuti preti, si distinsero per gli studi e per  le pubblicazioni religiose. Calogero non finì  neppure le scuole elementari.  Fin  da ragazzo fu la pecora nera della famiglia e, ancora minorenne, aderì alla cosca del mafioso Francesco Paolo Varsallona. Il Vizzini socio di costui  per il territorio di Villafranca,   esercitò il furto, il contrabbando di bestiame ed  impose il pagamento della protezione ai proprietari terrieri, che si servivano della banda del Varsallona come “intermediaria” per reprimere le rivendicazioni dei contadini. Dal 1902 fu arrestato ed imputato  diverse volte  per vari reati ma fu sempre discolpato per l’influenza  di autorevoli amici e le loro incontrovertibili testimonianze. In quegli anni la mafia era esclusivamente agraria ed i mafiosi  si limitavano a servire  Principi e  Baroni come Campieri, guardiani, gabellotti e sovrastanti. Nobiltà e clero costituivano il potere dirigente decentrato rispettivamente del Re e del Sommo Pontefice, privato del proprio Stato Sovrano ma non del proprio potere su Vescovi, parroci e fedeli. Non avrebbero potuto abbandonare i loro “bravi” senza perdere il rispetto dei “faticatori”.
Nel 1908 Calogero Vizzini, favorito dalla posizione acquisita, spregiudicato e particolarmente predisposto agli affari,  era divenuto ricco grazie all’appoggio di uno zio presidente della Cassa Rurale. Era proprietario di una vasta tenuta estrapolata dal feudo Belici e di una solfatara. Era l’autorità di Villalba gradita dai nobili dal clero e dai faticatori.
Nel 1920, dopo la prima guerra mondiale, la povertà del proletariato e la miopia del governo rinvigorirono attualizzandole le istanze del Socialismo. Il Congresso Socialista di Fiuggi provocò la scissione del Partito in altri partiti socialisti e la nascita del Partito Comunista (PCI) e del Partito Nazionale Fascista(PNF). Gli scontri e le ritorsioni tra gli estremisti di questi due partiti da subito evidenziarono come  Stato e Chiesa intendessero contrastare l’ideologia comunista e vedessero nel fascismo l’antidoto. Lo zio  arciprete di Villalba,  in contatto costante con l’Arcivescovado non ignorava la politica delle alte sfere dei due poteri. A ragion veduta raccomandò al nipote un giovane fascista ricercato affinché lo nascondesse, lo mettesse al sicuro e tramite lui finanziasse generosamente il PNF per la prevista marcia su Roma. Quell’arciprete era la longa  manus del potere clericale in Caltanissetta, “consigliere” del nipote Don Calò  e contatto sicuro tra l’arcivescovado e la mafia della provincia.
Nel 1931 quel versamento e la fedeltà ai latifondisti lo salvarono dal “Prefetto di ferro” che  messolo sotto processo per una sequela di reati  tra cui un omicidio in concorso col Varsallona non riuscì a farlo condannare e che si dovette accontentare di confinarlo a  Fiuggi fino al 1937. Come gli archivi storici ed i fatti successivi comprovano, già da tempo  i “Grandi Elettori  Siculi finanziavano il partito fascista e garantivano l’appoggio popolare tramite le loro personali mafie. Nel 1943 con lo sbarco degli alleati in Sicilia il potere di Don Calò  si accrebbe così come quello di tanti altri in odore di anti fascismo o di mafia e presero corpo le speranze degli indipendentisti.
Nel dicembre 1943 Calogero Vizzini, partecipò al primo congresso clandestino separatista ed aderì all’EVIS. Assoldò la banda degli  Avila* che avevano  iniziato la guerriglia  contro la monarchia compiendo agguati ed attentati.
Nel 1944 venne nominato sindaco di Villalba dal comandante Poletti dell’AMGOT*.
Nello stesso anno il noto gangster americano Lucky Luciano*******, ricercato in America e spedito in Sicilia dai sevizi segreti americani quale capitano di marina,messosi in contatto con Don Calò organizzò con lui i racket del contrabbando di derrate alimentari, di benzina, dell’emigrazione clandestina e del commercio internazionale di eroina con i relativi laboratori di lavorazione.
Nel settembre 1944 , in Villalba, durante il comizio dell’On. PCI Li Causi vi fu un attentato con ferimento dell’onorevole e di altre  dodici  persone. Su espressa denuncia del Li Causi furono indagati e poi assolti Don Calò e Pantaleone*********.
Nel 1945 la principessa di Trabbia  Giulia Lanza Florio, per affrontare il banditismo e le rivendicazioni dei contadini, nominò Don Calò, “Gabellotto del Feudo Miccichè” con l’incarico di riscuotere i canoni di affitto ammontanti a circa dieci milioni di lire all’anno. Alla fine del 1947 primi giorni del 1948, dopo la strage di Portella delle Ginestre*********, Don Calò abbandonò l’EVIS.
Nel 1948, avvicinandosi le elezioni, partecipò con Giuseppe Genco Russo ed altri Boss delle più importanti famiglie, al pranzo elettorale Dc che si tenne in Palermo a Villa Igea. A tale riunione era presente il deputato all’Assemblea Costituente On. Dc Calogero Volpe che  aveva consentito che le cosche di iscrivessero al partito come associazioni rappresentate dai loro capi senza pretendere che fossero gli  associati ad iscriversi singolarmente***********.
Il giorno 11/04/1954 il quotidiano Avanti, pubblicò un articolo che denunciava come nei confetti esportati in tante nazioni dalla “ditta Luciano-Vizzini”, l’eroina sostituisse  le mandorle. Nella notte vennero spostati i macchinari e di quella fabbrica non si trovarono tracce.
Nel luglio di quello stesso anno Don Calò passò a miglior vita. Ebbe funerali solenni, onorato e compianto da esponenti Dc e delle Istituzioni, lutto cittadino e la partecipazione di una folla proveniente dai comuni confinanti con   Villalba, a fianco del feretro lo accompagnava Don Genco Russo a significare che lui era succeduto al comando************.
Nel 1955 il Presidente della Suprema Corte Costituzionale, Giuseppe Vito Lo Schiavo, ne ricordò la morte e ne celebrò i meriti  e le virtù*************.