Nacque a Mussomeli il 26 gennaio del 1893 e vi è morto il 18 marzo 1976. Di umile famiglia di agricoltori ebbe una gioventù movimentata. Durante il governo fascista fu imputato di abigeato, di estorsioni, di numerosi furti e persino di omicidio.
Fù sempre assolto per insufficienza di prove grazie alle testimonianze ed agli alibi fornitigli dai numerosi amici. Nel 1931 fu condannato per associazione a delinquere a sei anni di reclusione. Stranamente dopo soli tre anni, stante l’interessamento di avvocati ed amici, fu scarcerato per buona condotta e sottoposto a libertà vigilata. Malgrado l’amministrazione fascista, “l’influenza” esercitata dal Russo su gli abitanti in fermento per l’attuazione della riforma agraria, gli aveva attirata la simpatia dei latifondisti, tutti sostenitori del governo, che fecero in modo che fosse lasciata ai personaggi “ravveduti” la possibilità di orientare le masse verso soluzioni condivise. Questo accadde in tutta la Sicilia. Fu così che Genco Russo e Calogero Vizzini uomini “d’onore” rispettivamente di Mussomeli e di Villalba” promossero cooperative agricole e divennero intermediari, in quei territori, tra i latifondisti ed i coltivatori. Il ruolo assunto procurò loro mezzadrie, mediazioni, premi e generosi incassi*. Lo sbarco alleato in Sicilia, favorito e preparato dai mafiosi antifascisti rifugiatisi in America che coinvolsero gli “amici” in loco, pose in posizione di vantaggio tutti gli uomini “d’onore” e gli antifascisti esistenti in ogni comune e circoscrizione provinciale. Calogero Vizzini divenne sindaco di Villalba e Genco Russo referente degli alleati per Mussomeli.
Nel 1944 la Corte di appello di Caltanissetta lo riabilitò in pieno e, ritenute le precedenti condanne esclusivamente politiche, lo dichiarò integerrimo avversario del regime fascista ed estraneo ai delitti per i quali era stato condannato. La sentenza aveva riconosciuto la sua attività antifascista e l’appoggio fornito agli Alleati ed alla monarchia.In seguito ottenne il riconoscimento e fu nominato Cavaliere della Corona d’Italia.
Nel 1948 in vista della prima elezione della Neonata Repubblica Italiana, gli esponenti più autorevoli dell’onorata società,furono invitati al pranzo elettorale della Dc che si tenne in Palermo a Villa Igea. Oltre a Genco Russo, Calogero Vizzini e altri boss delle più importanti cosche vi era l’On. Calogero Volpe, rappresentante locale Dc. Nel 1950 finalmente si ripropose il problema dell’attuazione della riforma agraria, e quindi l’attualizzazione delle strategie già sperimentate durante il regime e la funzione che di fatto le mafie territoriali assumevano.
Nel ottobre del 1957 partecipò al convegno, che durò 4 giorni presso “l’Hotel Le Palme” a Palermo, tra mafiosi siciliani ed americani.
Nel 1960 stante che aveva un seguito personale nel mandamento di Mussomeli di oltre 40.000 persone fu eletto consigliere del Comune di Mussomeli e rappresentante del partito Dc della circoscrizione*.
Nel 1962 fu costretto a dimettersi causa la campagna giornalistica scatenata dall’opposizione e da alcuni Boss delle cosche avverse**. Fu poi processato e condannato a 5 anni di soggiorno obbligato a Lovere (Bergamo). Rientrato a casa, visse serenamente stimato ed apprezzato dai suoi concittadini. Era certamente un mafioso, ritenuto a torto il “mamma santissimo” della mafia internazionale. Ebbe funerali solenni vecchio stampo con grande affluenza di folla e la partecipazione di personaggi della Dc e delle Istituzioni.
*) Durante il governo monarchico e fascista, impegnato nella attuazione della riforma agraria, ufficiosamente ai mafiosi al servizio dei grandi feudatari latifondisti, venne assegnato il ruolo di mediatori autorevoli tra le istanze sociali della plebe e gli interessi della classe dirigente dei feudatari. Poterono quindi concludere accordi, affittanze, riconoscere il diritto di pascolo ad allevatori et cetera et cetera favorendo una ridotta attuazione convenzionale alla riforma agraria con reciproca soddisfazione delle parti e vantaggi economici personali. Con il Governo “repubblicano” Dc e l’attuazione delle riforma agrarie che avrebbero dovuto smantellare i latifondi e danneggiati gli interessi dei dirigenti di partiti alleati e di singoli grandi elettori, con nuovi sistemi le mafie proseguirono la consueta loro attività.
**) Tanto Calogero Vizzini che il suo successore Genco Russo, furono osteggiati e visti con disprezzo da alcuni boss di altri mandamenti. Erano ritenuti affetti da mania di protagonismo, pericolosi per la mafia in generale. Costoro escludevano l’esistenza di un capo che dirigesse i mandamenti della mafia siciliana. Tra i più irriducibili avversari di Genco Russo, capo mandamento di Caltanissetta, fu certamenteTotò Minore*, capo del mandamento di Trapani. Quando parlando si riferiva a lui e alle sue interviste ed apparizioni giornalistiche lo chiamava “Gina Lollobrigida” ed il suo territorio lo indicava come “Mandamento Babà” ( classico dolcetto siculo). Risulterebbe che fu proprio lui che coadiuvato da politici dei partiti avversari della Dc fece esplodere lo scandalo che provocò la fine della carriera politica di Genco Russo ed il coinvolgimento dell’onorevole Calogero Volpe segretario regionale siciliano Dc che a seguito dello scandalo fu estromesso dal partito ed espulso dal Parlamento per indegnità.
Alla prima “Tribuna politica” trasmessa l’undici ottobre 1960, in vista delle elezioni amministrative del 6 e7 novembre di quell’anno, si tenne la prima conferenza stampa televisiva del Ministro degli Interni Mario Scelba, ex Presidente Del Consiglio. Tra i numerosi colleghi il giornalista Gino Pallotta dell’Ora di Palermo chiese al Ministro come la Dc intendesse garantire la libertà di voto in Sicilia stante la ripresa della delinquenza mafiosa e l’esponenziale aumento di reati riscontrati in concomitanza con la presentazione nella lista del comune di Mussomeli di colui che la pubblicistica e l’opinione comune ritenevano capo della Mafia. Il Ministro iniziò le risposte ai quesiti di altri intervenuti, ma non rispose al quesito di Gino Pallotta. Non ebbe il tempo di rispondere a tutti. La sera successiva però, il dodici ottobre, andò in onda la conferenza elettorale del Segretario nazionale Dc Aldo Moro. Il giornalista Augusto Mastrangelo del “Paese sera”ricollegandosi alla domanda del collega alla quale l’On Scelba non aveva data risposta chiese a Moro come mai la Dc avesse messo nella lista del comune di Mussomeli Genco Russo indicato comunemente Capo della mafia. Il Segretario Dc, visibilmente a disagio, finì per difendere il partito sostenendo che nessuno aveva elementi per giudicare la fondatezza della qualifica attribuita al candidato e che comunque il partito centrale non aveva titolo per sindacare le liste locali. Negli archivi dei quotidiani sono reperibili le registrazioni audiovisive di quelle trasmissioni. La pubblicazione degli atti e dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso, è la prova documentale ufficiale, che della mafia e dei suoi affiliati tutto era già noto a tutti, ma che il potere non intendeva coinvolgere i Boss dei partiti né la magistratura. La prova è fattuale e ricavabile dalla lettura delle oltre 200 pagine le cui coordinate sono le seguenti :
Commissione parlamentare 1962
SENATO DELLA REPUBBLICA
V LEGISLATURA
Doc. XXIII
n. 2-qnater
COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA
SUL FENOMENO DELLA MAFIA IN SICILIA
(LEGGE 20 DICEMBRE 1962, N. 1720)