Abbiamo riscontrato negli anni che i fatti di sangue, comprendendosi tra questi stragi ed omicidi, spesso presentano un aspetto comune, e cioè che tempestivamente viene comunicata da qualche portavoce ufficiale  la certezza della matrice, ed i motivi sottostanti. Questa comunicazione quasi sempre  diverrà la verità giudiziale su quanto accaduto grazie alla sentenza definitiva ma comunque quei fatti resteranno misteri irrisolti. Noi per semplificare le ricerche personali, circa casi misteriosi con possibile movente politico  che possono interessare, suggeriamo di applicare la metodologia utilizzata dai nostri centri tematici: considerare il reato come fatto obiettivo.
Le dichiarazioni ufficiali espresse dalle autorità a seguito del fatto obiettivo, nell’immediatezza, quale “possibile regia” – documentarsi circa le risultanze istruttorie e dibattimentali per accertare depistaggi, indagini neglette o abbandonate, etc. etc. Sentenza definitiva.
Costantemente o quasi la sentenza definitiva finirà per collimare con la regia iniziale. E ciò a costo di dar vita ad altri processi a carico dei “depistatori” senza che mai si faccia luce sul perché dei depistaggi e nell’interesse da chi siano stati messi in atto.
E ciò quando pur essendo chiarissimi i fatti e le responsabilità non sia possibile identificare se quanto accadde fu voluto dall’una o dall’altra forza impegnata nella lotta sotterranea.
Ciò premesso sommariamente riporteremo una scheda relativa ad uno stage e all’attività siciliana di un bandito che probabilmente si trovò a servire due o più potentati in lotta sotterranea tra di loro, sempre condizionati e diretti da forze internazionali.

Le troppe incongruenze, le leggerezze, le mancate indagini, le omissioni riscontrate, lo scollamento tra i servizi segreti, le Istituzioni, gli organi di polizia, i continui depistaggi, le soffiate e le confidenze che ci raggiungevano, le verità che altri processi politici ci arrecarono, fecero in modo che, nel 1986, avessimo un quadro chiaro della realtà. Ci sentimmo traditi, ma complici. Noi, difensori in tanti processi politici, eravamo stati complici involontari di quei complotti come tanti nostri clienti che troppo tardi si erano accorti di essere stati usati per azioni dirette dai pupari per conto di poteri ignoti e probabilmente proprio da quelli che credevano di combattere. Quel che più ferì la nostra coscienza fu constatare che per sopravvivere e difenderci ci eravamo serviti dello stesso sistema corrotto che  combattevamo
Diversa la posizione dei magistrati che si occuparono di quei fatti in fase istruttoria o
dibattimentale e degli inquirenti, la loro funzione è diretta a scoprire la verità, quindi
potevano rivedere le loro sentenze, le loro indagini i loro convincimenti e pubblicamente
diffondere le verità acquisite.
Esempio  di onestà morale e professionale lo ha dato l’ex giudice Ferdinando Imposimato che errò nel ritenere un pavido l’On.Moro ed i Brigatisti Rossi unici artefici ed ideatori esclusivi del sequestro e della strage di via Fani.
Uomo schierato a sinistra ma  amante della Verità e della Giustizia ha potuto svelare nei volumi “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia” e nel volume “La Repubblica delle stragi impunite” retroscena, documenti e fatti che hanno confermato quelle ed altre  verità  che noi difensori  accertammo, ma che non potremo mai dire. Noi possiamo soltanto GRIDARE, ai pochi sopravissuti tra i tanti nostri patrocinati, vittime o complici,  “CHI SA PARLI!” così come fece Francesco Montanari